Fino al 2010 in molti degli indirizzi tecnici e professionali la geografia economica si studiava come materia d’indirizzo con un monte ore che arrivava fino a otto ore nel triennio. Si studiavano fenomeni complessi del pianeta Terra, le risorse naturali, il loro legame con il sistema economico. Si osservavano i popoli, le loro culture. Si osservava l’evoluzione dei fenomeni globali naturali e antropici. Attraverso le tematiche geografiche si faceva come conseguenza l’educazione all’ambiente e allo sviluppo sostenibile e l’educazione alla cittadinanza. Adesso rimane negli studenti un grande vuoto, un disorientamento, una perdita d’integrazione negli apprendimenti. Chi non conosce le tematiche geografiche perde la capacità di collegare fra loro i fenomeni globali. Tutto il sapere dello studente resta confinato e disconnesso, come una cellula privata del suo citoplasma.
Nel frattempo, mentre nel mondo il sapere geografico si evolve, integrando tutto il settore tecnologico dei sistemi informativi geografici, la scuola italiana arretra perdendo molto altro: tutta l’esperienza didattica dei docenti di geografia che hanno cominciato a vivere una pesante incertezza, a perdere le cattedre, le sedi, le ore di lezione e non hanno più avuto le condizioni per lavorare in modo efficace. Una disciplina così attiva e funzionale che si riduce fino a un’ora al primo anno dei professionali e degli istituti tecnici per il settore tecnologico. La disciplina che permetterebbe agli studenti di spiegarsi e forse dominare eventi naturali complessi, ridotta a una superficiale infarinatura di argomenti che è impossibile metabolizzare appieno. Senza una cultura geografica i nostri giovani si tuffano inermi nel mare della complessità, di fronte ai fenomeni globali più rischiosi come riusciranno a difendersi?