Memoria e cittadinanza
«[…] chi dimentica è più debole, più esposto ai pericoli che intolleranza, ostilità, violenza ripropongono», così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo messaggio per il 75° anniversario dell’efferato eccidio di Sant’Anna di Stazzema (Lucca), consumatosi il 12 agosto del 1944.
L’Italia è un paese che dimentica e che non si prende sufficientemente cura della memoria: sebbene sia prevista nell’ordinamento scolastico l’educazione alla cittadinanza, nonostante la re-introduzione, seppure in via sperimentale, dell’educazione civica nell’a.s. 2019/2020, l’Italia è un paese che ha scelto l’oblio come via a un’ideale, quanto velleitaria, pacificazione sociale. Una scelta forse comprensibile nel breve-medio periodo, ma non per questo necessariamente condivisibile e/o giustificabile, alla conclusione del Secondo conflitto mondiale e della guerra civile scoppiata dopo l’8 settembre 1943 ma che, nel lungo periodo, è divenuta terreno fertile per negazione delle responsabilità e rimozione delle colpe. Che la distanza fosse necessaria per poter fare definitivamente i conti con il proprio passato è un meccanismo di difesa fisiologico, che si attiva tanto a livello della memoria individuale quanto di quella collettiva. Ma tra elaborazione e cancellazione c’è una differenza abissale, e in Italia il territorio e il paesaggio sono forse una delle manifestazioni più evidenti della banalizzazione dei luoghi, della eradicazione di segni capaci di caricarsi di significati e di trasformarsi in simboli
da “L’ordine geografico del mondo e l’organizzazione della conoscenza“, R. Morri, 2019