Giro del Mondo: Domanda #5

È possibile prevedere un’eruzione vulcanica?

Con questa quinta domanda ha inizio la seconda parte della nostra rubrica. Questo quesito appartiene alla XII annata della rivista, esattamente ai numeri di Giugno-Agosto del 1967.

Attraverso il testo e l’infografica abbiamo raccolto alcune nozioni di base della vulcanologia e proponiamo i risultati di alcuni recenti studi relativi alla possibilità di prevedere un’eruzione vulcanica.

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Innanzitutto, come ci viene indicato dal sito della protezione civile (http://www.protezionecivile.gov.it/attivita-rischi/rischio-vulcanico/vulcani-italia), si distinguono due diversi tipi di vulcani: vulcani estinti e vulcani attivi.

Della prima tipologia fanno parte quei vulcani la cui ultima eruzione risale a molte migliaia di anni fa: per convenzione, si è scelto di stabilire in 10.000 anni il periodo di inattività superato il quale possiamo parlare di vulcani estinti. Alcuni esempi italiani sono i vulcani Salina, Amiata, Vulsini o Cimini.

Invece, per vulcani attivi si intendono quelli ancora in attività, che si possono distinguere in:

  •       vulcani quiescenti (che hanno dato eruzioni negli ultimi 10 mila anni e che attualmente si trovano in una fase di riposo), come ad esempio, sempre in Italia, Ischia, il Vesuvio e Lipari;
  •       vulcani con attività persistente (che danno eruzioni continue o separate da brevi periodi di riposo), come l’Etna e lo Stromboli.

I vulcani attivi sono costantemente monitorati dai servizi della Protezione civile poiché le eruzioni vulcaniche rappresentano un forte rischio per numerose zone densamente popolate del territorio italiano.

 

Date queste premesse, proviamo a rispondere alla domanda!

 

 

Non è possibile prevedere con certezza le eruzioni vulcaniche, sebbene prima di un’eruzione possa verificarsi una serie di fenomeni, detti appunto “precursori”, che pre-annunciano l’eruzione. Grazie alle azioni di ricerca e monitoraggio sullo stato dei vulcani attivi, è però possibile fare delle stime sui tempi, i rischi e gli effetti delle eruzioni (http://www.protezionecivile.gov.it/attivita-rischi/rischio-vulcanico/attivita).

Già la risposta pubblicata nella rivista evidenziava l’importanza dell’analisi fisico-chimica dei gas presenti nelle lave. Il monitoraggio delle emissioni gassose rappresenta tuttora uno dei principali strumenti volti a prevedere i fenomeni eruttivi, insieme a quello di altri fenomeni precursori come gli sciami sismici, i tremori vulcanici e le deformazioni del suolo (https://www.ov.ingv.it/ov/it/domande-frequenti.html).

Nel caso dei vulcani con attività persistente, le ricerche degli ultimi anni hanno permesso di individuare anche altri fenomeni precursori.

 

 

In merito ai vulcani con eruzioni esplosive, nel 2019 è stata condotta una ricerca internazionale che ha coinvolto ricercatori tedeschi, inglesi, francesi e indonesiani (https://www.lescienze.it/news/2019/11/20/news/merapi_vulcano_eruzione_esplosiva_previsione-4619162/). Questo studio si basa sull’osservazione della permeabilità dello strato roccioso più esterno di un duomo di lava (una struttura lavica di forma pressoché conica o a cupola, che talvolta si forma al di sopra del cratere di un vulcano); in particolare, gli studiosi hanno riscontrato che poco prima di un’eruzione questo strato roccioso diventa più impermeabile del normale, impedendo così la fuoriuscita di gas.

Con il tempo la pressione esercitata da questi gas aumenta fino a far scoppiare il duomo di lava, provocando così una violenta esplosione. Quindi la bassa permeabilità e la consistente riduzione della fuoriuscita di gas risultano fenomeni indicatori di un’eruzione imminente.

 

 

L’anno precedente, invece, sul Journal of Geophysical Research, un altro articolo a firma di un team di ricercatori delle Università di Firenze e Palermo coordinato dal geofisico Maurizio Ripepe (Infrasonic Early Warning System for Explosive Eruptions – Ripepe – 2018 – Journal of Geophysical Research: Solid Earth – Wiley Online Library) riportava i risultati di uno studio sulle onde acustiche a bassa frequenza, dunque non udibili per le persone ma intercettabili dagli strumenti, emesse dall’Etna nell’imminenza di un’eruzione, per effetto dell’immissione in atmosfera dei gas contenuti nel magma: dallo studio è emerso che, nel caso dell’Etna, l’analisi degli infrasuoni consente di lanciare un allarme per eruzione imminente con un preavviso di circa un’ora, ma ricerche su analoghi sistemi di allarme precoce sono in corso anche per altri vulcani.

Un’altra tipologia di ricerche riguarda non tanto la prevedibilità delle eruzioni in termini di tempo, quanto in termini di modalità con cui i vulcani potrebbero eruttare. Va in questa direzione uno studio pubblicato nel 2019 su Science Advance (https://advances.sciencemag.org/content/5/7/eaau9784.full) da un gruppo di ricerca che coinvolge l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), l’Università di Roma Tre e il German Research Center for Geosciences di Potsdam. La ricerca vuole contribuire a creare un modello fisico che, unendo le conoscenze sulla fisica dei vulcani, i metodi statistici e la storia eruttiva dei vulcani, consenta di localizzarne le bocche eruttive, così da individuare in anticipo i percorsi delle colate laviche e il modo con cui si distribuiranno le ceneri, limitandone gli effetti negativi.

In conclusione, quindi, le ricerche in materia sono ancora molte e, come detto in precedenza, non è possibile prevedere con certezza quando avverrà un’eruzione vulcanica!

È certo però che il grado di pericolosità delle eruzioni è maggiore per i vulcani quiescenti che per quelli persistenti: è raro, infatti, che questi ultimi accumulino abbastanza energia da dar luogo ad eruzioni catastrofiche, cosa che, al contrario, può accadere nel caso di fenomeni eruttivi intervallati da lunghi periodi di inattività. Senza contare che le popolazioni che vivono a contatto con i vulcani persistenti sono molto più consapevoli dei potenziali rischi rispetto a quelle stanziate nei pressi dei quiescenti…