Prendendo spunto da quanto afferma il giornalista Corrado Augias nel suo podcast
“Un paese difficile, anche per colpa della geografia”
pubblichiamo l’opinione del prof. Cristiano Giorda, professore all’università di Torino, vicepresidente nazionale AIIG. Il prof. Giorda nel suo commento accenna alla recente dichiarazione del governo di voler inaugurare un liceo del “made in Italy”.
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Quando Augias richiama l’importanza del Po nella pianura padana, o degli Appennini tra le sponde della penisola, fa una cosa che sta molto a cuore all’educazione geografica: aiutare a ricordare, a riscoprire, e soprattutto a percepire nella sua attualità il legame tra l’umanità e l’ambiente terrestre, coi suoi infiniti adattamenti locali creativi e unici, fucine di comunità, culture e perfino di civiltà come quelle legate di volta in volta ai fiumi, ai deserti o alle grandi pianure alluvionali. Educare a riconoscere queste relazioni che ancora oggi sostengono il nostro abitare, le economie, la qualità della vita, il paesaggio, il legame coi luoghi e i progetti delle persone e delle comunità. Educare a riconoscere il ruolo della creatività e dell’innovazione con cui ogni sistema territoriale esprime uno specifico adattamento che genera lavoro, attaccamento, bellezza e senso del luogo.
Se in passato si cercavano tratti generali, con letture deterministiche, oggi abbiamo imparato che il grande tratto distintivo della specie umana sta invece nella sua capacità di trasformare l’ambiente in territorio attraverso un continuo dialogo coevolutivo con la natura, testimoniato dall’infinita diversità dei paesaggi e dei modi con cui li percepiamo e ne immaginiamo i cambiamenti.
Dire che questa è una lettura che unisce la geografia alla storia è corretto, ma limitativo proprio quando usa i concetti di “storia” e di “geografia” nelle gabbie lessicali del passato: l’una come contenitore di vicende politiche e sociali, l’altra come contenitore di oggetti fisici e antropici. È fuorviante che l’espressione “geografia” sia usata come sinonimo di morfologia. Anche Augias non riesce a liberarsi da questo codice. La geografia sono gli Appennini, la storia l’evoluzione politica della nazione.
Augias porta ad esempio l’Impero Romano come fatto eccezionale “nonostante” la morfologia: ma perché non ribaltare questa lettura e considerarlo invece come una prova che la morfologia non condiziona così tanto, e che l’unità o la divisione dipendono di più da fattori culturali e organizzativi? Faccio fatica a pensare che gli Appennini siano tra le cause del ritardo nell’unità nazionale. In ogni caso, lascio questo tema al dibattito fra gli storici. Da geografo, mi affascina molto di più pensarli in chiave ecologica, come isole di biodiversità, di diversità culturale, di abbandono ma anche di grande potenziale in chiave futura. Se si farà questo liceo del Made in Italy di cui si parla, spero che la geografia che si insegnerà possa raccontare il potenziale e le risorse dei sistemi territoriali italiani insegnando a riconoscerne valori e punti di forza, criticità e opportunità. Una geografia attiva che comprende l’impronta data dal passato nel paesaggio e nel patrimonio territoriale, ma che sa ripensare ogni cosa in chiave ecologica e culturale, sviluppando competenze per abitare e trasformare il mondo con nuovi punti di vista e nuovi approcci.