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“Matrice di ogni possibile sapere, almeno per l’Occidente”.
La geografia secondo Franco Farinelli.
Si è svolto a Civitavecchia, dal 17 al 22 novembre, il 54° Convegno Nazionale dell’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia, dal titolo “Paesaggi costieri e vocazioni marittime. Scale geografiche a confronto”, In questa occasione si è svolto un suggestivo confronto dialettico tra i geografi Angelo Turco e Franco Farinelli sulla ricerca e la didattica in Geografia, stimolati da provocazioni per immagini scelte da Daniela Pasquinelli D’Allegra, vicepresidente dell’AIIG. In tale contesto, abbiamo posto alcune domande al Professor Farinelli, ordinario di Geografia presso l’Università di Bologna e Presidente dell’AGeI, Associazione dei Geografi Italiani. Farinelli ha insegnato Geografia alla Sorbona di Parigi, nelle Università di Ginevra, Los Angeles e Berkeley. Nella conversazione affronta i temi contemporanei che caratterizzano la Geografia e il ruolo del “geografo postmoderno”.
Nessuno può negare il carattere dinamico, sintetico, interdisciplinare della Geografia. Tuttavia, molti studiosi si ostinano a collocarla come un’ancella di altre discipline. Che cosa dovrebbero fare le Associazioni per evitare un simile errore di valutazione? Premesso che la Geografia non è l’ancella, ma è la matrice di ogni possibile sapere, almeno per l’Occidente, le Associazioni dovrebbero trovare una maniera pratico-concreta di rendersi finalmente conto che sono detentrici di un sapere che è originario, per così dire. Prima della filosofia, c’è la Geografia.

La filosofia nasce con Platone: prima si pensava, prima venivano organizzati i modelli per addomesticare il mondo, perciò la filosofia è una provincia della Geografia. Il problema è perché i geografi hanno dimenticato tutto questo? Allora, la prima cosa che suggerirei è trovare occasioni per riflettere in questa direzione. Credo che oggi manchi ai geografi una forma adeguata di coscienza dell’importanza del proprio sapere, e ogni iniziativa che le Associazioni possono mettere in atto per ovviare a questa forma inadeguata di consapevolezza, penso che sia la benvenuta. Lei ha sottolineato, durante il convegno, che nella postmodernità soggetto e oggetto non si distinguono. In tale contesto, qual è il ruolo del geografo oggi, nel postmoderno, e qual è il suo oggetto di studio? Posso cavarmela con una battuta: noi abbiamo, in questo momento, un Ministro alla Coesione Territoriale; c’era, infatti, già nel governo precedente dove, però, il problema, la dizione di “coesione territoriale” era preceduta da quella di “affari regionali”. Adesso, le regioni e gli affari sono scomparsi e resta la coesione territoriale. Su questo slogan, su questa etichetta, l’Unione Europea spendeva molte energie e molti soldi di qui in avanti. Credo che questo sia un altro segno del ruolo che si chiede che il geografo ricopra: chi è oggi lo specialista del territorio? Chi è oggi in grado di leggere il territorio? Certo, sono gli architetti, gli urbanisti, ma secondo me, di nuovo, vi è una matrice geografica, che va assolutamente riscoperta.
Certamente, ciò costa ai geografi stessi. I geografi non hanno mai fatto un vero e proprio atto di coscienza nel dopoguerra. Credo che il dopoguerra in Italia, la seconda metà del Novecento è stata da questo punto di vista la stagione più infelice della Geografia, bandendo dalla Geografia ogni riflessione, ogni legittimità di atto riflessivo, ogni teoria insomma. E questo è avvenuto per ovvi motivi. Non accadeva solo in Italia, ma anche in Germania e altrove, ma specialmente in Italia. Oggi, finalmente, il mondo riscopre la necessità e l’urgenza di nuovi modelli. Questi devono configgere con quelli archetipici: soggetto, spazio, oggetto, e non vi è soluzione possibile se non ripassando attraverso la storia della Geografia.
Lei, infatti, durante il convegno, ha ribadito che se pensiamo in termini globali, dobbiamo ridimensionare il concetto di spazio. In tale contesto, qual è il ruolo della Geografia del cyberspazio e quanto può influire positivamente in questo processo? La Geografia del cyberspazio non c’è ancora. Esistono tentativi di approccio, ma non c’è ancora, così come sul piano internazionale non condivido affatto personalmente tutto quel grande dispiego di energie che va nella direzione dell’interscalarità. Se diciamo che lo spazio diventa sempre più una categoria virtuale per la spiegazione del funzionamento del mondo, dobbiamo avere il coraggio di mettere da parte tutte le scale possibili, perché dire “scale” e dire “spazio” è la stessa cosa. Come si fa a pensare qualcosa al di fuori della “retorica della transcalarità”? La stessa Saskia Sassen insiste su questo. La Saskia Sassen, cui pure si deve l’analisi più vigorosa, più sottile e più nervosa della globalizzazione: territorio, autorità, diritti, alla fine altro non trova di meglio che rifugiarsi nella transcalarità; è un ritorno allo spazio. Davvero questo è singolare e andrebbe approfondita questa impossibilità non solo del geografo, ma della riflessione in generale (difatti, la Sassen, seppure legge i geografi, è una sociologa) di fare a meno delle stampelle con le quali finora ha tentato di “metter le dande al mondo”. Il mondo, oggi, è una sfera e ci si chiede: “in medio palma posita est, rapiat qui potest?” Riusciranno i geografi a rapirla, a farla propria? Questa è la sfida importante, ma credo che nessuno meglio dei geografi sia attrezzato, sempre che siano tutti a volerlo. Quindi, non deve esserci nessuna rottura della Geografia con la tradizione, altrimenti, persa la memoria, niente o quasi niente è possibile, ma ci vuole coraggio assoluto nel ribaltare le posizioni acquisite fin qui.

Francesco De Pascale
(depascalefrancesco@hotmail.it)

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